Il messaggio dei capodogli

(da Gramellini su La stampa)
Chissà se i capodogli trovati morti sulla spiaggia di Peschici con la pancia piena di sacchetti di plastica volevano dirci qualcosa. E non solo qualcosa di ecologico in senso stretto. Del genere: «Uomini, vil razza dannata, coi vostri rifiuti intossicate l’universo». Lo sappiamo già e non ce ne importa niente. Ci hanno insegnato nei secoli dei secoli che la natura è una donna di servizio, da sfruttare molto e pagare poco, possibilmente in nero. Invece, sorpresa, era la padrona di casa e sta presentando il conto dell’affitto, arretrati compresi, ma tanto non abbiamo i soldi per pagare.

No, mi chiedo se quei cetacei non volessero raccontarci anche un’altra storia. Soltanto quattro di essi avevano la plastica nello stomaco, e il capobranco più di tutti. Ma nelle pance degli ultimi tre non è stato trovato niente. Niente. Hanno seguito il capo fino alla morte per puro spirito gregario: assopimento di coscienza, mancanza di personalità. Ecco, forse i sette capodogli di Peschici volevano dirci proprio questo. Che rischiamo di diventare così anche noi.

Divisi in capibranco famelici che ingurgitano qualsiasi cosa per pura bramosia di possesso e in cortigiani che si contendono i resti dello stesso nulla, spacciato per chissà che. In scia, poco distanti, avanzano gli spettatori: a stomaco vuoto, si accontentano di godere la visione del pasto altrui. E seguono il capobranco senza chiedersi dove si sta andando. Onda su onda, fino allo schianto finale.

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